Per uno studioso di comunicazione politica che si sia formato in piena Seconda Repubblica, la metafora della “staffetta” rimanda agli albori della politica-spettacolo (Statera, 1986), all’immagine di Craxi che, nel febbraio del 1987, adombra in televisione la possibilità di non “cedere il testimone” ad una Presidenza del Consiglio democristiana. Sono i primi effetti di quel nuovo dominio della trasparenza che investe una politica ormai incapace di tenere i cittadini all’oscuro del privato dei suoi leader, si tratti delle loro relazioni sentimentali o degli accordi che stringono più o meno alla luce del sole (Thompson, 2005).
Quasi tre milioni di votanti, i due terzi dei quali hanno scelto il 38enne Matteo Renzi: le Primarie dell’8 dicembre 2013 per l’elezione diretta del segretario del PD saranno ricordate come un cambiamento generazionale con pochi precedenti nella storia della sinistra italiana.
“We're putting the band back together”
The Blues Brothers, 1980
La vittoria di Matteo Renzi alle Primarie del Partito Democratico del 2013 segna la fine della sinistra italiana? Del PD? Del governo di larghe intese? Nonostante le posizioni che, entusiasticamente o tristemente, caldeggiano ipotesi come queste, la risposta è un (graduato) no.
Decaduto. I media mainstream e social, le conversazioni da viaggio, da bar, da cena in famiglia ruotano, dalle 17.42 di ieri, 27 novembre 2013, di questa parola. Silvio Berlusconi è decaduto dalla carica di Senatore, come conseguenza della condanna definitiva per frode fiscale che ha aperto la stagione politica 2013-2014.
La notizia è ovviamente in apertura dei quotidiani di oggi, e proprio dalle lettura dei due editoriali “di punta”, quello de “la Repubblica” e quello del “Corriere della Sera”, viene al pettine un nodo politico e mediale che è la chiave di lettura di ciò che è stato e che sarà, del Cavaliere, della politica italiana, delle sue istituzioni.
Tra le conseguenze più interessanti della costante commistione tra politica ed intrattenimento c’è la possibilità, per i cittadini-utenti di contenuti e tecnologie comunicative, di poter esprimere una forma di interesse, se non impegno, politico giocando con i codici dell’entertainment. Si tratta di un rovesciamento fondamentale: anche nella misura in cui la politica rimanga, nel suo linguaggio, un campo separato dalla vita delle persone (Edelman, 1987), la possibilità di intervenire rimane garantita, soprattutto da parte di utenti giovani e skillati nei linguaggi interferenti della comunicazione, in primo luogo digitale.
A meno di tre settimane dal suo insediamento, non è un compito facile offrire una valutazione dell’operato del governo Letta. Si intrecciano due circostanze contrastanti: da un lato, i cattivi auspici sotto cui nasce il “governissimo”, che presto diventa un nuovo simbolo del celebre “inciucio” tra centrosinistra e centrodestra. Circostanze che rendono praticamente impossibile per il Presidente del Consiglio realizzare scelte di piena soddisfazione per la base del suo partito (a partire dalla costituzione della squadra di governo).
Nella sua lunga e illuminante Presentazione all’opera di Murray Edelman, Gli usi simbolici della politica, Giorgio Fedel ci ricorda che “gli autori sono pressoché unanimi nel riconoscere che l’azione rituale è «simbolica» […] Infatti, l’azione rituale collega i mezzi e i fini non come causa e effetto (cioè, intrinsecamente), ma piuttosto in modo simile al collegamento che le parole del linguaggio naturale intrattengono con il loro significato. Il rito «significa», nella mente dei partecipanti e dei credenti, i suoi scopi come il termine «tavolo» significa tavolo, senza alcun nesso causale e intrinseco tra i due”. (Edelman 1987, p. 19).
La lettura dell’attuale fase politica come inizio di una fantomatica Terza Repubblica sembra essere messa fortemente in discussione dall’andamento dell’elezione presidenziale in corso. Il clima di opinione in cui si inserisce il voto delle Camere fa infatti pensare, piuttosto, a un colpo di coda della cosiddetta Seconda repubblica che nella sua età tarda consuma una definitiva vendetta sulla Prima. Questo corto-circuito corrisponde all’incrocio di due tendenze ormai consolidate nelle democrazie contemporanee: la mediatizzazione e la presidenzializzazione della politica.
Neil Postman con il suo Amusing Ourselvest to Death nel 1985, Giovanni Sartori con Homo videns. Televisione e post-pensiero nel 1997 molto più che con il capitolo aggiuntivo sul “Videopotere” nella terza edizione del suo Elementi di teoria politica nel 1995, sono gli esempi più “classici” di come finissimi pensatori abbiano sancito la mutazione antropologica dell’uomo a partire dalla centralità del video.