L'intervento che segue si inserisce all'interno della riflessione collettiva che ha generato il libro "Perché la sinistra ha perso le elezioni?". Il testo, che raccoglie i primi dati della ricerca Mediamonitor Politica sulle elezioni politiche del 2008, intende aprire la strada ad una riflessione comune di matrice comunicativa, politologica e sociologica sullo studio delle campagne elettorali in Italia.
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Il sistema politico che si è definito dal 1994 al 2009 ha dei pilastri definiti bipartitici ma che in realtà sono assai più friabili. La forza coercitiva delle tecniche elettorali si conferma come il collante più significativo degli equilibri politici.
In un ciclo politico che dura ormai da quindici anni sono presenti alcune regolarità. La principale è che l'alternanza si verifica più per la decomposizione dei governi in carica che non per un vero e proprio ricambio politico e programmatico promosso dall’opposizione. In questo arco temporale sono maturate tre sconfitte della sinistra. Una soltanto è fisiologica: quella del 2001, che è anche la meno grave, dal punto di vista delle ricadute di sistema. La sconfitta ebbe come causa il fatto che, dopo la caduta di Prodi, una parte della maggioranza ritenne che la nomina di D'Alema a presidente del consiglio fosse un fatto deviante rispetto al mito dell'elezione diretta. A indebolire quell’esperienza fu la persistente diarchia tra partito e governo che nascondeva opzioni differenti di cultura politica.
Esiste una spiccata similitudine tra la sconfitta del 1994 e quella del 2008. Entrambe sembrano causate dall'onda lunga dell'occhettismo, ovvero dall'incapacità di assumere un efficace governo politico delle transizioni. Quando ci si imbatte in delle transizioni politiche, si aprono dei vuoti politici e istituzionali che bisogna occupare altrimenti la palla del gioco passa ad altri protagonisti, esterni al sistema dei partiti. Nel 1992-1994, a evocare la vittoria della destra fu la caduta drastica di realismo politico nella cultura politica della sinistra. Nel 1993 era stata approvata dalla commissione bicamerale un progetto di riforma istituzionale in senso neoparlamentare che avrebbe consentito un intervento incrementale in grado di guidare la innovazione istituzionale senza contraccolpi ingovernabili. Prevalse la scelta di affidarsi all’incognito impatto della formula maggioritaria poiché la sinistra venne egemonizzata dalla vera mina vagante di questo quindicennio, cioè il movimento referendario. Se ci fosse stata l’adozione del modello tedesco, la transizione avrebbe avuto un esito del tutto differente, senza la discesa in campo di uomini del destino. Ci fu invece con la promessa del maggioritario la creazione di un evento miracolistico, e la rottura referendaria degli equilibri sistemici contribuì alla gestazione di capi carismatici con la promessa di una rigenerazione mitica.
L'errore strategico che accomuna il tonfo del 1994 e quello del 2008 è dovuto all'incapacità di formare coalizioni vincenti e di consegnarsi al mito dell'investitura diretta del capo. Il mito del 2008 è stato quello di un sindaco d'Italia che corre in solitudine, respinge ogni proporzionale per allargare la coalizione e risolleva le sorti di un centrosinistra allo sbando sfondando nella contesa elettorale con il cavaliere. Questa strategia in realtà ha affossato il governo, ha tramutato un Berlusconi che stava alle “comiche finali”, e appariva ai suoi alleati come un avventuriero, in un capo carismatico che incassa agevolmente il suo terzo successo elettorale. Evidenti errori di strategia hanno, nel giro di pochi mesi, ridato smalto alla leadership appassita di Berlusconi.
C'erano nella passata legislatura le condizioni politiche per una riforma elettorale e anche per un allargamento della coalizione. Ma non furono colte anche perché Veltroni e Prodi condividevano la mitologia della elezione diretta del capo. Le illusioni del direttismo magico hanno indotto ad errori prospettici, per cui Prodi, benché rappresentasse il punto di equilibrio di una coalizione composita, si è sempre comportato, in tutte e due le sue esperienze di governo, come se davvero avesse un'investitura diretta che lo sottraeva dal legame opprimente con i partiti della coalizione.
In un ciclo politico che presenta queste regolarità c'è stato anche un periodo di controtendenza. E’ quello del '94 quando ci fu un ritorno di realismo politico con la scoperta di vizi originari e di lunga durata della società italiana. Il problema del centro, infatti, è un problema non soltanto politico ma anche storico-culturale. In Italia, ogni qual volta viene a cedere il partito di centro come filtro degli umori moderati e degli interessi della neoborghesia, il moderatismo scompare. Quando viene a cadere il filtro dei partiti di centro, e l’elettore moderato deve operare una scelta di campo, la maggioranza si schiera a destra. Senza un centro autonomo, il moderatismo contribuisce a creare un'ondata di populismo, e subisce il fascino del leaderismo del capo carismatico.
Il problema più grande di oggi non è quello di costruire una alternanza di governo ma di progettare un'alternativa di sistema politico prendendo atto che il bipartitismo è inefficace sul piano del rendimento politico-istituzionale, oltre ad essere un esperimento già fallito.
Michele Prospero
professore di Filosofia del Diritto e di Scienza Politica
nella Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza Università di Roma