Le campagne elettorali al tempo della networked politics

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Le campagne elettorali non sono solo il contesto, ma anche l’oggetto di ricerca forse più interessante nel campo della comunicazione politica. È da questo presupposto che parte il libro di Cristopher Cepernich, “Le campagne elettorali al tempo della networked politics” (Laterza, 2017), attorno al quale s’è discusso oggi pomeriggio al Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale della Sapienza. Un libro che prende atto di quale “dispositivo complesso e affascinante” sia una campagna elettorale – allo stesso tempo arena comunicativo-informativa ed evento mediatico, ideale ma spesso irraggiungibile punto di incontro tra le promesse della politica e le aspettative degli elettori – e intende definirne lo stato evolutivo nelle democrazie avanzate con l’affermarsi del paradigma della networked politics.

 

Cos’è, dunque, una campagna elettorale digitale? Anzitutto, non è una campagna online, non sposta il focus dai media mainstream verso le piattaforme di rete, ma piuttosto si muove sul filo dell’ibridazione: tra vecchi e nuovi media, tra pratiche tradizionali come il “porta a porta” e innovative come la microtargettizzazione dei dati degli elettori, tra il potere degli algoritmi e la riscoperta del fattore umano.

 

Più nello specifico, è una campagna "scientifica nel metodo; data-driven, o quantomeno data-oriented, nell’approccio; high-tech nella infrastruttura; professionalizzata e specializzata nei ruoli e nelle funzioni; microtargettizzata nelle strategie di comunicazione; partecipativa e high-tech grassroots nell’impianto di base", come recita la definizione a p. 53 del volume.

 

Ognuno di questi elementi ha una base teorica, ma soprattutto una storia, che si intreccia con gli studi e con l’esperienza sul campo di Cristopher Cepernich. Ed è attraverso questa esperienza, con specifico riferimento alla campagna del 2016 dell’oggi grande sconfitto Piero Fassino, che ognuno di questi elementi si anima, nella presentazione davanti alla classe di Comunicazione politica.

 

Il metodo scientifico è quello che chiama in causa le diverse professionalità alla base di una campagna elettorale, che non è solo politica e non è neppure solo comunicazione, ma è analisi dello scenario e della sua evoluzione, raccolta e trattamento dei dati che non può non avvalersi delle metodologie e delle tecniche della sociologia elettorale, quella che identifica negli autori di The People’s Choice i propri maestri – e Cepernich nel libro fa ampissimo uso della lezione di quei maestri, ne dimostra ancora una volta l’attualità.

 

I dati sono quelli che un professionista delle campagne elettorali raccoglie e interpreta, per cercare di comprendere il cambiamento, e mettere una campagna sui binari giusti. Ammesso che i dati non contrastino con l’istinto del candidato: allora sarà quello a prevalere, e i rituali della politica più tradizionale segneranno un punto contro la scientificità della gestione della campagna, che dovrà saper cedere il passo oggi per riguadagnare terreno domani, perché la tecnicità di questo lavoro non sia confusa con la tecno-idolatria.

 

L’infrastruttura high-tech è quella che oltreoceano consente una profilazione degli elettori infinitamente più precisa di quella che il nostro Paese ha avuto modo di conoscere fino a questo momento. E al di qua dell’Oceano? Oltre l’ammirazione e l’esterofilia c’è la volontà di sfruttare i dati che si hanno già a disposizione, di sviluppare con una spesa ragionevole un software più leggero e usabile di quelli statunitensi, che dia comunque dei risultati utili a ottimizzare lo sforzo elettorale.

 

La professionalizzazione è quella della sociologia elettorale sopra citata, ma più in generale delle scienze sociali e di quelle della comunicazione, troppo spesso, specie queste ultime, confuse con la gestione delle pratiche comunicative. Ma l’analisi dei dati elettorali è appannaggio di un sociologo o di un comunicatore, non di un creativo. Al creativo starà di utilizzare quei dati, se lo vorrà e se sarà in grado di farlo.

 

La microtargettizzazione non è solo quella high tech, ma anche quella in grado di individuare nell’erba non tagliata, nelle buche, e nei goffi tentativi di un candidato di presentarsi come il risolutore di una piccola o grande situazione di disagio, i motivi del successo di una forza politica in un quartiere, in una sezione elettorale, in una palazzina popolare.

 

Allo stesso modo, l’impianto grassroots è anche quello delle dei volontari che devono ingegnarsi per trovare il modo di coinvolgere un passante, uno dei nomi sulla loro walk list, per farne uno hub di un sistema più ampio, per raggiungere tramite lui/lei luoghi e persone alle quali la comunicazione del candidato altrimenti non arriverebbe. Come lo “splendido ragazzo” sardo che raccontando ai torinesi quando straordinaria fosse la città che lo aveva ospitato per i suoi studi catturava la loro attenzione, li spingeva ad aprirsi, e infine li coinvolgeva in un discorso su quanto di più lontano dalle loro intenzioni: il candidato, appunto.

 

In sintesi, prima di tutto, le campagne elettorali al tempo della networked politics sono in bilico: tra i maestri della sociologia elettorale e i giovani che vorranno farne un mestiere; tra la comunicazione mainstream, la cui rilevanza non è messa in dubbio neppure per un istante, e quella social e personal, che deve riuscire nell’arduo compito di coinvolgere i cittadini delle democrazie disamorate; tra il candidato, con la sua istanza di rappresentatività e la sua esperienza politica, e il volontario, che seppur nei “residui” del suo tempo può significare una grande conquista umana per la campagna.

 

di Christian Ruggiero