Alcune sollecitazioni di un intervento a TgCom24 circa il vertice Pd-M5S di mercoledì 25 giugno meritano di essere approfondite.
Anzitutto, l’annosa questione politica “vs” comunicazione. Si è parlato, per Matteo Renzi, di una “politica dei due forni” di democristiana memoria, volta a coniugare e al tempo stesso stressare gli accordi già presi con i partner di governo; il MoVimento 5 Stelle, a sua volta, ha incassato commenti positivi sulla sua “intraprendenza parlamentare”[1].
A ben guardare, una politica mediatica dei due forni potrebbe essere nelle intenzioni del MoVimento 5 Stelle, certamente costretto a fare i conti con la débâcle delle Europee, con una base di voti sempre più spostata verso quella di un partito populista di destra, con il rischio che la comunicazione “aggressiva” di Grillo e Casaleggio risulti dannosa. In passato è stata sperimentata, con successi alterni, la formula “fuori e dentro la tv” per leader come Prodi (Morcellini, 1996) e Veltroni (Morcellini, Prospero, 2009). Oggi il MoVimento potrebbe puntare a mandare nelle arene pubbliche (comprese quelle televisive) volti “rassicuranti” come quelli di Di Maio e Di Battista, e continuare tuttavia a mantenere un “guru” che dai palchi di tutta Italia urla il suo disgusto contro la “Casta”, sperando così di controbilanciare l’impressione che il suo movimento stia lentamente ma inesorabilmente mutando in partito.
Sullo sfondo, la politica dello streaming. Scelta obbligata per il MoVimento, nel nome della trasparenza, scelta fortemente voluta anche da Renzi, nel nome della concorrenza sul piano dell’innovazione politico-comunicativa. L’Osservatorio Tg diretto da Alberto Baldazzi nota, giustamente, che il vertice in streaming tra il Partito Democratico e il MoVimento 5 Stelle ha avuto molto meno seguito, molta meno attenzione sui giornali e telegiornali, dei suoi antecedenti.
Al di là della moderazione dei toni notata da Baldazzi, due elementi emergono chiaramente ad un’analisi politico-comunicativa. Anzitutto, il terzo confronto in streaming non poteva contare sull’effetto-novità di quello Bersani-M5S né sulla carica di personalizzazione di quello Renzi-Grillo. In secondo luogo, mentre i primi due si erano attestati su tempi “da Rete” (meno il primo, 31 minuti, più il secondo, 11 minuti), il terzo è arrivato a durare 61 minuti. Un tempo intollerabilmente lungo, a maggior ragione senza che la monotonia del confronto tra le parti venga rotta, almeno a tratti, dalla comunicazione “maleducata” di Grillo. Un tempo che necessiterebbe, per esempio, di una mediazione giornalistica che si ritagliasse almeno uno spazio a margine, ravvivando il confronto attraverso domande, esercizi di fact-checking, osservazioni di prospettiva sui temi trattati.
Che sarebbe la vera sfida per il giornalismo: non affidarsi a uno streaming che ha l’inestimabile virtù della gratuità per ridurre il proprio ruolo a quello di commentatore ex-post, lamentando la mancanza di “appeal” di un format che, per diventare “digeribile” e per differenziarsi dalle “classiche” dirette dei lavori dalla Camera dei Deputati, necessiterebbe proprio della mediazione giornalistica.
[1] Vertice Pd-M5S, Renzi tenta i grillini su preferenze: «Si, se c'è governabilità», in “Il Messaggero.it”, 25 Giugno 2014.