Non è facile fare un’analisi dei risultati elettorali dal punto di vista dei soggetti che da quei risultati sono stati maggiormente stressati. Non solo i “grillini”, passati rapidamente da una vittoria che, a bocce ferme, è stata data troppo per certa, a un risultato talmente insoddisfacente da costringere i vertici del MoVimento a ricorrere a un celebre antiacido. Ma anche le diverse “anime di minoranza” del Partito Democratico, che vedono la loro linea politica definitivamente bollata come perdente, e quindi inadeguata a prescindere dal suo portato ideologico (ed è per certi versi una provocazione bruciante la comparazione tra l’inaspettatamente fulgido risultato del PD alle Europee del 2014 e il celebre sorpasso del PCI alle Europee del 1984). E infine, dal punto di vista degli studiosi di televisione elettorale.
Ancora una volta, ciò che è andato in scena in televisione non collima affatto con i bisogni che il voto del 25 maggio sembra esprimere. Si è parlato molto di scandali, di moralità della politica, eppure gli onesti del MoVimento 5 Stelle non sembrano averne beneficiato, e i compagni di partito di alcuni degli indagati non sembrano averne risentito più di tanto. Si è parlato moltissimo della campagna di Renzi, ma soprattutto di quella di Grillo, della sua scelta di andare alla conquista del territorio televisivo, della potenza di fuoco che il Comico poteva mettere in campo e delle conseguenze che un suo nuovo trionfo avrebbe portato in Europa e in Italia. Lo scenario è invece quello di un Presidente del Consiglio che può andare in Europa forte di un risultato che avvicina l’Italia alla Germania, e la allontana dalle derive antieuropeiste che sono le protagoniste del voto a livello comunitario.
Come può reagire uno studioso di televisione a una simile divaricazione tra realtà e rappresentazione? Sul versante dell’analisi “quantitativa”, Gianni Betto, Direttore del Centro di Ascolto dell’Informazione Radiotelevisiva, non si arrende alle critiche e rilancia: il tempo d’antenna concesso alle diverse forze politiche si costituisce in quanto vero e proprio indicatore di rappresentanza di quelle stesse forze per come escono dai risultati delle urne. Tanto minutaggio in termini di esposizione televisiva, tanta percentuale in termini di voto.
Un’analisi “qualitativa” può offrire un ulteriore elemento d’interesse, e un ulteriore stimolo a coltivare il terreno della rappresentazione televisiva della politica. Si è detto che l’incontro di Beppe Grillo con Bruno Vespa è stato un incontro di scherma più che di boxe, che i due contendenti hanno dimostrato un convinto rispetto del setting conversazionale in cui si trovavano (le “buone maniere” che si usano in un “salotto buono”). Ma una frase del conduttore resta impressa: “Mi vieni a dire che quelli che guardano Porta a Porta non si sono nascosti sotto al letto?”. Nella misura in cui il talk show è il regno del luogo comune, le discussioni che si sviluppano al suo interno hanno la capacità di agganciarsi alle convinzioni più radicate nello habitus del telespettatore. Il Grillo evocato nel 2013, allora, diviene un simbolo ideale di opposizione a una realtà politica che non convince e non ispira fiducia. Il Grillo in carne e ossa del 2014 diviene un soggetto tangibile, che nella sonnacchiosa seconda serata di RaiUno si dice pronto a prendere il Quirinale come fosse la Bastiglia, a chiedere l’azzeramento di tutte le cariche istituzionali, a impegnarsi in un nuovo inizio che è legittimo pensare abbia spinto “sotto il letto” una fetta di pubblico e di elettorato per due ordini d ragioni. Il più semplice: tanto più brusco è il cambiamento, tanta più paura induce. Il più raffinato: in fin dei conti, il progetto di costruzione di questa nuova Italia non è esplicitato a sufficienza, non abbastanza per una chiamata alle armi così rabbiosa.
La vittoria della forza tranquilla di Renzi passa anche da qui. Dal voto-rifugio di un pezzo d’Italia che, al concretizzarsi della possibilità, o della minaccia, di un passaggio traumatico di consegne, ha con buona probabilità scelto la via del voto a un sistema che per una volta si presenta dinamico e rassicurante a un tempo. O dell’astensionismo, che è il grande assente delle analisi post-voto.