L’esercito di Silvio. Polbusting e oltre

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Tra le conseguenze più interessanti della costante commistione tra politica ed intrattenimento c’è la possibilità, per i cittadini-utenti di contenuti e tecnologie comunicative, di poter esprimere una forma di interesse, se non impegno, politico giocando con i codici dell’entertainment. Si tratta di un rovesciamento fondamentale: anche nella misura in cui la politica rimanga, nel suo linguaggio, un campo separato dalla vita delle persone (Edelman, 1987), la possibilità di intervenire rimane garantita, soprattutto da parte di utenti giovani e skillati nei linguaggi interferenti della comunicazione, in primo luogo digitale.

Si tratta di un processo pienamente in linea con la spinta dei media commerciali verso quella che Dahlgren (2000) chiama lifestyle politics, una visione disincantata e a tratti cinica della sfera pubblica, che spinge ad una partecipazione intermittente e “soft”. Non solo: anche laddove la politica divenga un campo di sempre minore interesse per cittadini che percepiscano una lontananza sempre maggiore dai bisogni concreti della “società civile”, la spinta a “taroccare” un messaggio che presenti forme particolarmente evidenti di innovatività, o all’opposto di trazionalismo, diviene a tratti irresistibile.

 

Con “l’avvento del Web 2.0 e delle sue tecnologie sociali, collaborative e soprattutto connettive … i partiti non sono più semplicemente confrontati ala concorrenza di immagini e prodotti più cool e meglio in grado di suscitare l’identificazione di un corpo sociale che predilige la ricreazione all’impegno politico e il carpe diem alla proiezione nei futuri astratti disegnati dalle ideologie storiche; nel nuovo contesto comunicativo, essi devono altresì difendersi dal sabotaggio della propria immagine e del proprio messaggio da parte degli utenti … Le nuove sfere pubbliche che puntellano il cyberspazio … tramite quello che chiamiamo polbusting (politics busting, manomettere la politica), esse dapprima assorbono nel proprio contesto di fruizione il messaggio, in seguito lo decodificano svelandone l’ideologia e smascherandone la finzione, quindi lo riscrivono ridicolizzandolo con sapienza” (De Kerckhove, Susca, 2008, p. 139).

 

In un simile contesto, succede, per esempio, che due amici, uno dei quali peraltro iscritto a un corso di Scienze della Comunicazione, di fronte a un’iniziativa che eleva forse al massimo grado mai raggiunto la gestione personalistica del suo partito da parte di Silvio Berlusconi, di fronte insomma alla formazione de “L’esercito della Libertà. Uniti per difendere il Presidente Berlusconi”, decidano di manomettere i toni marcatamente kitsch di questa campagna politica. Agendo su Facebook, una piattaforma che alla politica continua a far gola, perché è senza dubbio il fenomeno più vistoso nel campo dei social media, i due ragazzi creano una pagina-fake parallela a quella ufficiale dell’iniziativa.

Succede che LEsercitoDellaLibertaDiSilvio finisce per attrarre più “mi piace” della pagina che intende “manomettere”. E che quando Giovanni Floris lancia un servizio di Cristina Buonvino che mira a mostrare come “Tanti degli amici di tutti sulla Rete come hanno giudicato la settimana politica” (04/06/2013), il risultato sia un mix di politica e satira, di gaffes “vere” e “costruite” dei leader più in vista. Che fa sorgere il dubbio che non solo gli spettatori, ma perfino la giornalista, abbiano preso sul serio l’intenzione di sostituire “reggimenti” con “reggipetti”.

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Altri casi di studio? È presto detto. Arfio Marchini segue lo stesso trend della pagina di cui sopra e finisce per superare, sia in termini di apprezzamento che di discussione generata su Facebook, l’official fan page dell’imprenditore – reale – candidato a sindaco di Roma. E quando Sara Bentivegna - docente di Teorie e Tecniche dei New Media alla Sapienza - incalza il ghostwriter cui spetta la paternità dell’idea, il giornalista in questione ridefinisce i confini della comunicazione politica. Ammettendo di giocare a favore, e non contro, lo stesso Marchini, attraverso una "satira che non cede alla volgarità" e che umanizza il politico-macchietta facendo delle sue "peculiarità una virtù, un uomo sincero, che scherza sui suoi limiti". Un linguaggio orwelliano può essere la base ideale per fornire la chiave di lettura migliore: a differenza dell’Esercito di Silvio, che osanna per delegittimare, il padre di Arfio schernisce proprio per legittimare.

Il primo turno delle comunali di Roma parla chiaro: Marchini out, con Marino ed Alemanno al ballottaggio. Ma niente paura, la satira non è in pericolo. Innanzitutto perché Arfio continua a pubblicare contenuti, a differenza di molti politici tradizionali che, dopo aver sponsorizzato in ogni dove la propria discesa su Twitter ed aver ottenuto i voti, si eclissano all’orizzonte, improvvisamente disinteressati alla bi direzionalità e pronti a tornare al riparo dei salotti televisivi (ogni riferimento al @SenatoreMonti è puramente casuale). E soprattutto agli utenti con un più elevato grado di familiarità coi social network sites, questa discrepanza tra campagna elettorale e “una volta presi i voti, chi s’è visto s’è visto”, pesa assai.

Arriva allora il turno dei Coatti per Marino. Che, al grido di "Nun è politica, è romanità", sovvertono l’immagine del sempre pacato candidato Sindaco del centrosinistra sfruttando la migliore iconografia del cinema capitolino per far circolare il brand Marino anche attraverso contenuti più agevoli. Da una risata e via.

 

È il potere, seppur limitato, della Rete. “L’abbiamo visto in occasione delle amministrative del 2011, quando dalla pagina Facebook “Tutta colpa di Pisapia” si diffondono migliaia di messaggi, fotomontaggi e video ironici a sostegno del candidato, che in pochi giorni disinnescano la scorrettezza e aggressività con cui Letizia Moratti, chiudendo un dibattito su Sky, lo aveva accusato di aver rubato un furgone, senza però dargli possibilità di replica e senza dire che era stato assolto” (Cosenza, 2012, p. 173).

 

Non si tratta solo di neutralizzare il frame di valori dell’avversario. Non si tratta solo di comunicare nel modo giusto, specie perché i contenuti offerti sono sovente poveri e/o incoerenti. Si tratta di creare conversazione, di far associare inconsciamente un nome ad una cornice genuina (quella della risata, dell’autoironia) e di alimentare il sentiment online con la migliore combinazione disponibile in Rete: i social network e la satira “light”. Che diverte senza insultare, che distrae (dalla navigazione) ma allo stesso tempo focalizza (su un oggetto, il brand per l’appunto). E nell’overload informativo cui gli internauti sono quotidianamente sottoposti – reso talvolta ancora più insostenibile tanto dalla pesantezza dei temi proposti dall’agenda della piazza virtuale quanto dalla bile riversata in molte delle discussioni online -, questi contributi offrono un piacevole intermezzo a cui è quasi impossibile sottrarsi.

 

Forse alla comunicazione politica 2.0 del Belpaese non resta che questo: "se non li puoi sconfiggere, unisciti a loro". Traduzione: se sei un politico e fai parte di una classe dirigente che ha perso così tanta credibilità che il processo di restaurazione (della propria immagine) costa più di quello di demolizione, tanto vale "unirsi a loro", passando dal lato dei cittadini. Per ridere di sé stessi.

 

di Christian Ruggiero, Federico Sbandi