E se domani…

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E se domani si andasse a votare? Quali sarebbero i temi della campagna elettorale per un’eventuale consultazione nazionale? La costante precarietà del bipolarismo apparentemente compiuto consente solo delle ipotesi sulla composizione degli schieramenti, ma i principali settimanali di politica, cultura e attualità in edicola questa settimana forniscono uno spaccato interessante dei “cavalli di battaglia” che un Pd e un Pdl teoricamente stabili potrebbero (ri)proporre.

Ricondurre la linea editoriale di un giornale o di un settimanale unicamente o principalmente alla linea politica dello schieramento di riferimento è un esercizio tutto sommato poco fantasioso. Oltretutto, non necessariamente valido, in un contesto in cui non solo le dipendenze del sistema dei media dal sistema dei partiti sono spesso più sotterranee di quanto la storica formula dell’editore di riferimento potrebbe far pensare, ma in cui il giornalismo tende con un certa frequenza a porsi in quanto soggetto antipolitico più che soggetto politico al di fuori della politica (Ruggiero, 2011). Ma rimane una scorciatoia informativa utile per visualizzare, se non per interpretare, il posizionamento dei soggetti in campo. E in questo caso, sembra uno strumento sufficientemente attendibile.

L’Espresso punta, come da tradizione di questi ultimi anni, su un fotomontaggio brillante: la locandina del film Pretty Woman, modificata in modo che Richard Gere abbia il volto di Silvio Berlusconi e Julia Roberts quello di Nicole Minetti. Titolo, “Pretty Minetti”. La parte alta della copertina, come da politica editoriale, fornisce alcuni flash su contenuti “minori” del numero. Panorama gioca invece su un’immagine unica, la cui forza è la semplicità: il particolare di una mano che sfila dalla tasca posteriore del pantalone di un completo da uomo il portafogli. Perfetta riproduzione di un’immagine metaforica ormai entrata di diritto nell’immaginario politico nostrano, quella del mettere le mani nelle tasche degli italiani (tra gli altri, Amadori, 2004).

Le strategie che sembrano emergere sono molto chiare. Nel secondo caso, la ripresa di un evergreen, di una sorta di mantra che ha accompagnato le più fortunate campagne elettorali del centrodestra della Seconda Repubblica. Della parte forse più riuscita di una complessa opera di delegittimazione dell’avversario che si è sostanziata nella definizione del centrosinistra, a prescindere dalle dinamiche variabili di formazione coalizionale, come “il partito delle tasse”. Un rimando a un tema “tipico” dell’area politica che si riconosce nella compagine berlusconiana (Prospero, 2010), condotto attraverso un richiamo all’atavica ritrosia degli italiani a mettere al primo posto il “bene comune” – e si pensi alle reazioni suscitate dalla forse inopportuna battuta del compianto Padoa-Schioppa, che definì “bellissime” le tasse, che consentivano di pagare la salute, la sicurezza, l'istruzione e l'ambiente di tutti. Una formulazione comunicativamente efficacissima, che è legittimo pensare un ipotetico Pdl in corsa elettorale userebbe come “artiglieria pesante” per coprire anche le più articolate argomentazioni degli avversari. Con la controindicazione che non necessariamente alla sostanziale staticità delle parole-chiave del messaggio politico corrisponde l’altrettanto sostanziale staticità del pubblico di riferimento.
Nel primo caso, la principale argomentazione che un ipotetico Pd in corsa elettorale potrebbe usare decidendo di centrare la propria campagna sulla delegittimazione dell’inevitabile candidato premier del centrodestra, facendo leva sulla nuova questione morale emersa a seguito del “caso Ruby”. Ancora una volta, una strategia non innovativa, basata su un mantra che, comunicativamente e politicamente, sembra aver avuto molta meno presa sull’orientamento politico degli italiani, riconducibile a quel “unfit to rule” con cui The Economist bollò Silvio Berlusconi il 28 aprile 2001 – e sarebbe interessante interrogarsi su quanto di questa “esterofilia paradossale” abbia in fin dei conti danneggiato il centrosinistra e dato modo al centrodestra di caratterizzarsi in quanto area politica che “ama l’Italia”. Una strategia che questa volta, però, potrebbe avere un successo maggiore, in considerazione delle avvisaglie di difficoltà dell’attuale premier nell’autogestione delle propria immagine che ha sempre costituito una delle sue armi migliori (Ruggiero, 2010b).

Dovendo giudicare da questi soli elementi, la corsa sarebbe insolitamente equilibrata, anche dal punto di vista specificamente comunicativo. Una soluzione più elaborata e “moraleggiante”, ma potenzialmente innovativa da una parte; un escamotage di sicuro impatto, ma tradizionale al punto da rischiare di risultare logorato dall’altra. Un richiamo allettante per la “pancia” degli italiani da un lato – il testo che accompagna la copertina de L’Espresso recita: “Vita di Nicole, ragazza chiave dello scandalo Ruby. Intima di Berlusconi, sa tutto sul suo Harem. Se ora parlasse…”; un appello chiaro e semplice dall’altra – la copertina di Panorama recita “Mentre Berlusconi punta a rilanciare la crescita dell’economia, la sinistra rispolvera la patrimoniale. Ecco quanto costerebbe a ognuno di noi il salasso proposto da Amato e Veltroni (passando per l’immancabile Visco”), dall’altro. Con un’unica certezza: se domani si andasse a votare, la liberazione della comunicazione politica dalla centralità del “fattore B” non sarebbe avvenuta.

di Christian Ruggiero