La storia della comunicazione politica sembra compiere un ulteriore passo con ogni nuovo Presidente degli Stati Uniti. Lo staff presidenziale addetto alla comunicazione, infatti, arriva sempre alla Casa Bianca con una innovativa ricetta per gestire in maniera efficace i media.
Il caso di Barack Obama è particolarmente significativo sotto tanti aspetti, messi in luce già durante la sua campagna presidenziale: l’uso consapevole dei nuovi media, l’attenta costruzione degli speech, l’abilità degli spin doctor, che hanno già fatto parlare di Obama come un Presidente “mediatico”. L’ultimo tassello della sua strategia comunicativa è la serie “West wing week”, i video settimanali che mostrano i momenti privati dell’uomo più potente della terra (Corriere della sera, 12/11/2010). Obiettivo del reality presidenziale è mostrare al pubblico americano i momenti non ufficiali del Presidente, seguito dal giovane regista e giornalista Arun Chandhary sia in patria che all’estero.
I video presidenziali, che non hanno comunque aiutato Obama a vincere le elezioni di mid-term, rappresentano l’ultima evoluzione della strategia di news management inaugurata da Kennedy già negli anni Sessanta del secolo scorso: un modo, raffinato e apparentemente democratico, per pilotare l’informazione e non esserne schiacciato. In seguito perfezionato dal presidente Reagan con l’introduzione delle photo opportunities, della “storia del giorno” e della “frase del giorno” (ritratti, notizie, concetti confezionati appositamente per i media), trova oggi nei video di Obama la versione aggiornata. Nell’era dei reality show e dei social network, l’ultima trovata dello staff presidenziale è un tentativo di stare al passo con i tempi, sempre più veloci, della comunicazione. Superata anche la fase della personalizzazione della politica, oggi la carta vincente sembra essere nella “familiarizzazione”: il Presidente è “uno di noi”, informale, vulnerabile, con pregi e difetti. Anzi, proprio i difetti, gli errori, il lato privato dell’uomo pubblico è ciò che lo rende simpatico, vicino, in grado di capire i “nostri” problemi.
Appare enorme la distanza con i primi studi sulle élite governative, un insieme di persone in grado di guidare una maggioranza non solo perché ricoprivano posizioni cruciali ma perché possedevano qualità effettivamente superiori - o percepite tali - alla popolazione: “le minoranze governanti ordinariamente sono costituite in maniera che gli individui che le compongono si distinguono dalla massa dei governati per certe qualità, che danno loro una certa superiorità materiale ed intellettuale od anche morale … essi, in altre parole, devono avere qualche requisito, vero o apparente, che è fortemente apprezzato e molto si fa valere nella società nella quale vivono” (Mosca, 1994, 53). Oggi non sembra più essere richiesto ai governanti una maggiore capacità di gestire la cosa pubblica, una moralità esemplare che giustifichi agli occhi dei cittadini il loro ruolo istituzionale. Si cerca, invece, ciò che rende più umani, e fallibili, gli uomini politici. E così un Presidente che appare talvolta “troppo intellettuale” ed “isolato” (Corriere della sera, 12/11/2010) deve essere ricondotto tra la gente, mostrato nella sua intimità, seguito oltre l’ufficialità delle sue mansioni. Il principio della pubblicità delle azioni di chi detiene il potere pubblico arriva qui ai suoi massimi livelli e viene da domandarsi se ciò effettivamente assicuri un innalzamento della democrazia, collegando – come voleva Carl Schmitt – principio di rappresentanza e pubblicità del potere e favorendo il formarsi di un’opinione pubblica libera e critica, oppure se non sia solo un nuovo canale della propaganda.
In definitiva, il dubbio è se la democrazia comunicativa del XXI secolo sia un avvicinamento all’idea kantiana di Publizität, in cui l’aumento dell’esposizione del potere (e della frequenza di tale esposizione) deve accordarsi con un aumento delle possibilità di critica e di indirizzo della politica. Il rischio, altrimenti, è di proporre un nuovo squilibrio comunicativo tra governanti e governati, in cui l’accresciuta visibilità del potere non individua gli strumenti affinché questo possa essere emendato e criticato.