"Orizzonti Glocali": Giappone. Web-campaign? No, grazie

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 Tokyo - Il 30 agosto scorso il Giappone è andato alle urne e la stampa mondiale ha dato giustamente risalto ad un voto che ha segnato un cambiamento storico degli equilibri politici di questo moderno e tecnologico paese, con la schiacciante vittoria del partito democratico su quello liberaldemocratico da 54 anni al potere. Non ha trovato eco, invece, sui canali di comunicazione internazionali la notizia che in uno dei paesi tecnologicamente più avanzati, la rete ed i nuovi strumenti di comunicazione – come i social network e persino la posta elettronica – siano stati completamente esclusi dalla campagna elettorale. Non è tuttavia nella censura o nel controllo governativo dell’informazione che va ricercata la causa.

La “colpa” è nella legge che regola le campagne elettorali, risalente agli anni Cinquanta e da allora non più modificata. Secondo questa legge, fino alla scadenza elettorale, i politici candidati commettono reato se aggiornano il proprio sito o ne creano di nuovi. Nonostante nei periodi di “routine” politica, la comunicazione sia libera di utilizzare qualsivoglia strumento, nel periodo precedente alle elezioni si crea il paradosso che nella nazione con la più alta penetrazione di internet (70% della popolazione) e con le migliori infrastrutture, la campagna elettorale sia condotta con “i camion con megafono, i manifesti, il volantinaggio”, come negli anni Cinquanta. Lo testimonia Phil Deans, professore della Temple University di Tokyo, che aggiunge: “la quasi completa assenza di media elettronici per comunicare messaggi politici è una delle cose più singolari riguardo al modo di condurre le elezioni qui” (Hogg, 2007). I tentativi di cambiare la situazione non sono finora andati a buon fine.

Un’interrogazione parlamentare presentata da alcuni candidati ha sortito l’unico effetto di proibire l’uso di Twitter (fino a quel momento tollerato) e anche la battaglia condotta dal legislatore Kan Suzuki, soprattutto attraverso il suo ufficio virtuale aperto su Second Life, si è dovuta temporaneamente arrestare prima del voto. Sono in particolare i membri del partito democratico a chiedere la revisione della vecchia legge elettorale, nell’aperto tentativo di conquistare l’elettorato giovanile: del 95% dei ventenni che navigano abitualmente in rete, infatti, solo un terzo si reca a votare. Seppure giudicati, quindi, come esempio di «letteratura e immagini» illegali se usati in attività di propaganda e in quanto tali proibiti durante la campagna elettorale, i twitting inviati dal democratico Seiji Ohsaka e – dalla parte opposta – i cartoni animati realizzati dal partito liberaldemocratico e lanciati su YouTube sono un ottimo esempio di questa strategia. In realtà, però, proprio dai giovani arrivano le dichiarazioni e le posizioni più inaspettate su tutta la questione. Le voci, infatti, raccolte da una inchiesta e riportate in un articolo della BBC raccontano di ventenni che giudicano negativamente il coinvolgimento dei politici in rete.

Youtube e gli altri strumenti di comunicazione sono visti come strumenti di gioco, divertimento e distrazione, mentre la politica è una “cosa seria”, i politici sono una casta venerata e rispettata e gli stessi giovani non vogliono essere coinvolti poiché si considerano o non sufficientemente seri o senza l’educazione necessaria. Ad esempio, Kentaro Shimano, uno studente della Temple University di Tokyo ed il suo collega Haruka Konishi considerano le risorse offerte da internet non “ufficiali”. La tradizione giapponese, che impone massima deferenza e rispetto verso i politici, unita anche agli interessi politici di molti partiti cha vogliono mantenere una legge stringente per contenere le attività politiche degli altri, rende piuttosto difficile eliminare tutte le restrizioni e proibizioni imposte dalla legge. Come afferma Yasunori Sone, analista politico della Keio University di Tokyo, “il numero di coloro che supporterebbero questo cambiamento è molto piccolo” (Hogg, 2007).

Non rimane che aspettare e vedere se il passaggio del potere al partito democratico porterà effettivamente quella ventata di trasformazione e di rinnovamento promessa in campagna elettorale. Intanto, è possibile registrare il divario, nell’uso della comunicazione e nella pianificazione dei messaggi propagandistici, tra la campagna elettorale per le presidenziali statunitensi del 2008 e il resto del mondo. Lo sforzo del team di Barack Obama nell’uso dei più innovativi canali comunicativi per raggiungere una vasta area di “nuovi” elettori e per raccogliere fondi ha fatto scuola e prodotto analisi e studi accademici: appare evidente, però, che la lezione sia difficile da imparare e da seguire poiché richiede anche – e forse soprattutto – una forte e piena democrazia e una totale libertà di informazione.

 di Patrizia Laurano

La foto è tratta da time.com