Il nome di Massimiliano Cencelli, collaboratore del ministro democristiano al Turismo e Spettacolo Adolfo Sarti, resta tristemente legato nel lessico della comunicazione politica al “manuale” che avrebbe contribuito a redigere, contenente precise formule numeriche per la distribuzione dei posti di potere tra le diverse correnti democristiane. In una parola, a quella pratica di gestione del potere che va sotto il nome di “lottizzazione”, e che nel nostro Paese è principalmente applicata alla selezione della dirigenza della concessionaria radiotelevisiva pubblica.
Nel suo Elogio della lottizzazione (Laterza, 2009) Paolo Mancini si interroga sulla necessità di garantire alla lottizzazione un processo equo, di metterne in evidenza le potenzialità positive oltre che le conseguenze perniciose dal punto di vista politico ed economico. Fino ad arrivare a porre l’interrogativo, niente affatto retorico: è possibile rimpiangere la lottizzazione? In una cena segreta consumata nei primi giorni dell’anno 1987, Biagio Anges, Enrico Manca e Walter Veltroni sigillano un patto che consentirà al Partito Comunista di partecipare alla gestione della Rai. La divisione tra le diverse forze politiche delle sfere di influenza sulle tre reti del servizio pubblico non poteva essere confessata, in quanto giustificata in primo luogo dalla necessità di salvaguardare e rinvigorire le sorti di un sistema politico che si nutriva di clientelismo e partitocrazia. Ma ebbe il pregio di aprire una stagione di innovazione dei formati, portata da homini novi come Angelo Guglielmi, e di iniettare nella Rai un maggiore grado di pluralismo, permettendo la rappresentatività di idee e personaggi di una parte politica che, pur esclusa dal governo, era in qualche modo lo specchio di circa un quarto del Paese. E quella cena fu l’apice di un processo che aveva seguito il progressivo indebolimento della Democrazia Cristiana e conseguentemente “aperto” il più sensibile dei territori da lottizzare alle forze altre che si andavano imponendo nelle urne e nella società, un processo non estraneo all’opera riformista che nel 1975 strappò la Rai dal controllo esclusivo dell’esecutivo trasferendolo al Parlamento, quindi alle diverse tendenze politiche che esso rappresentava. A partire dalla natura perdurante della pratica lottizzatoria, in grado di sopravvivere senza scosse eccessive al passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica, alla fine dei suoi referenti istituzionali e alla ribalta del Presidente-tycoon delle televisioni Silvio Berlusconi, Mancini pone al lettore due interrogativi che sembrano tornare di grande attualità in queste ore: saprà la lottizzazione sopravvivere alla semplificazione dello spazio politico operata dalle elezioni politiche del 2008? E saprà il sistema politico e televisivo sopravvivere al suo eventuale declino senza subire il drammatico ritorno al passato di una Rai tornata interamente nelle mani del governo?