"Orizzonti Glocali": Iran, la storia si ripete?


La rubrica “Orizzonti Glocali” rappresenta un tentativo di ampliare il panorama dell'analisi e della riflessione verso quelle zone del mondo spesso non illuminate dai riflettori del media occidentali e dagli analisti di comunicazione politica o dei processi elettorali. Con cadenza regolare, la rubrica ospita notizie, segnalazioni e approfondimenti sulle dinamiche politiche e le prassi comunicative di sistemi politici e culturali differenti, dal Medio Oriente all'America Latina, dall'Asia all'Africa.

La rivoluzione khomeinista del 1979 è stata la prima seguita in mondovisione: l’ayatollah usò tutti i mezzi allora disponibili – audiocassette, volantini, elamieh (proclami) e bayanie (manifesti) ciclostilati – per diffondere le proprie idee alla società civile iraniana e al mondo intero. Consapevole del potere della comunicazione, una volta salito al potere, Khomeini istituì un Consiglio incaricato di vigilare sulla conformità della stampa e della radiotelevisione alla morale islamica, chiudendo o mettendo al bando molti giornali “critici” ed islamizzando la televisione di stato con sermoni e dibattiti ideologici.

Anche l’attuale presidente Ahmadinejad ha avviato una lotta contro l’immoralità che, nella pratica, si è concretizzata contro l’uso di Internet e della tv satellitare e contro quotidiani, giornali e riviste dissidenti. Ma sarebbe un grave errore leggere tutto ciò secondo lo stereotipo, piuttosto diffuso, di arretratezza e anti-modernità del mondo islamico. In realtà “si è spesso rilevato che in Iran l’acquisizione – mai contestata – di nuove tecnologie corrisponde ad un momento di sovvertimento, cui dette tecnologie si dimostrano funzionali” (Scarcia Amoretti, 1998, p.227). Ciò che sta accadendo ormai da anni è che l’introduzione delle nuove tecnologie non appare più legata esclusivamente all’iniziativa governativa, ma è la stessa società civile ad impadronirsi delle nuove possibilità offerte dalle tecnologie, instaurando una relazione dialettica con il potere che ha visto alternarsi momenti di repressione e periodi di apertura e pluralismo. Basti pensare che sono stimati tra i 10.000 e i 15.000 gli scrittori online iraniani, soprattutto bloggers, che – nel 2006 – hanno portato l’Iran al nono posto al mondo per numero di blog[1]. Tra di loro, anche il presidente Ahmadinejad (www.ahmadinejad.ir/).

Il potere è difatti ben conscio dell’importanza della comunicazione per mantenersi e rigenerarsi: 2 milioni di dollari sono destinati, nel bilancio annuale del governo iraniano, alla voce “Protection against Cultural Invasion”, che copre i costi per la produzione di parasites contro radio e televisioni straniere. La censura, però, come mostrano gli avvenimenti di questi giorni post-elezioni, non sembra capace di isolare dai flussi comunicativi globali l’Iran, un paese in cui il 70% della popolazione ha meno di 30 anni e il 60% meno di 25: un enorme bacino di energie, di curiosità e di passione che mal sopporta le regole imposte dall’ala politica più conservatrice. Ad esempio, la ISNA, l’agenzia di stampa degli studenti iraniani, fornisce la maggior parte delle informazioni utilizzate dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani, subendo per questo continue pressioni e limitazioni, quando non minacce.

Sembra, quindi, riproporsi un simile andamento storico: la “rivoluzione” si appropria degli strumenti comunicativi più avanzati per prendere il potere e, una volta insediatasi, cerca di frenare e controllare questi stessi strumenti. Le modalità offerte, però, dalle nuove tecnologie sono più magmatiche e sfuggenti al controllo e aprono nuovi spazi alla critica e al cambiamento.

 

[1] Nonostante l’Iran sia al secondo posto nella classifica dei paesi dove è più pericoloso essere blogger (al primo posto la Birmania, dove nel 2008 il numero dei giornalisti online, blogger compresi, detenuti ha superato quello dei reporter della televisione e della carta stampata). La classifica ha preso in considerazione diversi criteri: innanzitutto se i blogger vengono incarcerati, subiscono minacce o attacchi; se sono vittime di auto-censura; se vengono "disconnessi" dalla rete e non possono navigare in modalità anonima; se c'è un monitoraggio delle attività degli utenti online. Fonte: Commitee to Protect Journalists (Cpj), organizzazione americana che difende i diritti dei giornalisti nel mondo.

di Patrizia Laurano

fonte immagine: blog.americancongressfortruth.com/wp-content/...

Bibliografia per approfondimenti