Fa riflettere il tweet di Matteo Renzi contro i talk show. Non solo perché facilmente definibile come un’inopportuna presa di posizione di un Presidente del Consiglio iper-televisivo e iper-presenzialista sulla scena del talk, se non come una vera e propria invasione di campo rispetto a Piazzapulita, che a quell’ora, le 22.45 di lunedì 26 gennaio, parlava di Patto del Nazareno e Presidenza della Repubblica. Anche perché ricorda recenti parole di un illustre precedente nel campo della Premiership televisiva.
Nella corsa al Quirinale fanno la loro comparsa nomi ampiamente noti alla politica e al grande pubblico (come Giuliano Amato, Romano Prodi, Walter Veltroni, Anna Finocchiaro), ma anche un “insospettabile” outsider: Giancarlo Magalli.
Classe 1947, autore televisivo e presentatore, Magalli è conosciuto per i suoi programmi di intrattenimento in perfetto stile mainstream: una piazza, un Comitato e tante storie da raccontare nell’intimità del salotto televisivo (Ruggiero, 2014b). Eppure, la “colpa” o il “merito” della nomina spettano al web.
Da amante dell’opera di Umberto Eco, era un po’ che cercavo l’occasione di celebrare a modo mio il cinquantenario di “Apocalittici e integrati”. Che lo spunto me lo avrebbe dato il Presidente dell’Ordine dei Giornalisti non lo avrei, però, creduto.
Un percorso che inizia negli anni ’90 con l’alternanza di leader e partiti politici, leggi elettorali, eventi che segnano la storia di un’Italia che cambia, che lotta, che cerca di non cedere al naufragio della crisi economica. Dopo Tangentopoli, è il momento di Amato e il crollo della lira, poi il governo tecnico di Ciampi, il sistema proporzionale e quello maggioritario. La corsa alle elezioni del 1994 e la discesa in campo di Silvio Berlusconi con la nascita di Forza Italia, il bipolarismo. Arriva Dini a fare il tecnico, a cui succede Prodi, a cui seguono D’Alema uno e due e poi di nuovo Amato. Arrivano il Berlusconi bis e tris, sconfitto in seguito dal bis di Prodi, che si alterna con il Berlusconi quater.
Cos’hanno in comune l’ultima mossa di Matteo Renzi, l’ospitata da Barbara D’Urso, e l’ultima dichiarazione di Silvio Berlusconi, che teorizza la sua campagna trionfale fuori dalla tv?
Il libro di Rita Dietrich rappresenta una sorta di “diario minimo” dei riferimenti utili ad affrontare un discorso pubblico sulla politica e la sua crisi.
Alcune sollecitazioni di un intervento a TgCom24 circa il vertice Pd-M5S di mercoledì 25 giugno meritano di essere approfondite.
Non è facile fare un’analisi dei risultati elettorali dal punto di vista dei soggetti che da quei risultati sono stati maggiormente stressati. Non solo i “grillini”, passati rapidamente da una vittoria che, a bocce ferme, è stata data troppo per certa, a un risultato talmente insoddisfacente da costringere i vertici del MoVimento a ricorrere a un celebre antiacido.
Superati (e di molto) tutti i leader precedenti, il nuovo recordman della sinistra italiana si chiama Matteo Renzi. Il 40,8% raccolto dal suo Pd è un risultato storico, mai raggiunto prima – e nemmeno sfiorato – da alcun leader della gauche nostrana, che mette definitivamente la parola fine alle sterili polemiche sul traumatico cambio con Enrico Letta alla guida del Governo dopo la schiacciante vittoria – ma contro Cuperlo e Civati – alle “primarie” per la leadership democratica dell’8 dicembre 2013.
Se è vero che le decisioni di voto, in un’epoca in cui l’elettorato d’appartenenza è solo un lontano ricordo e la sua “fluttuanza” aumenta da una prova delle urne alla successiva, uno sguardo ai temi dell’ultima settimana di campagna elettorale, da lunedì 19 a venerdì 23 maggio, può dare qualche spunto a chi cerca attuare il difficile mestiere delle previsioni di voto.